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Adottare un cane in canile? Certo, ma…

Chi ci conosce sa che siamo assolutamente a favore dell’adozione piuttosto che l’acquisto di un cane, proprio perché pensiamo che siano esseri talmente speciali che non meritano di essere trattati come merce. Sappiamo che molti, tra voi, non potrebbero dare un valore monetario al proprio cane, esattamente come non si valuta un qualsiasi altro componente della famiglia. Chiarito questo punto, capita spesso di parlare con persone che si mettono alla ricerca di un paio di occhi che facciano scattare un “click” nel proprio cuore e quindi iniziano a visitare i canili cittadini. In questa sede non parleremo delle adozioni dal sud, approfondiremo questo argomento in un articolo apposito.

Una città del nord-ovest, esterno giorno. I nostri ipotetici sigg.ri Rossi, con o senza prole, si dirigono al primo canile della loro zona. Stanno cercando un cucciolo, meglio se di taglia piccola o medio contenuta, magari femmina.

Niente, mi spiace.

Si dirigono al secondo rifugio.

Nisba.

Procedono verso il terzo.

Nulla.

Possibile? Neanche un cucciolone di sei mesi? Entro l’anno???

Possibilissimo, anzi, facilmente prevedibile. Dal 1991, infatti, con l’introduzione del microchip, obbligatorio anche per i cuccioli dai due mesi in poi (cioè da quando potrebbero essere adottabili) nelle regioni in cui la legge è stata correttamente applicata, si è riscontrata una graduale scomparsa di cucciolate indesiderate, e l’esaurirsi di fenomeni di randagismo massivo. Un passaggio importante è stato rappresentato dal fatto che tutti i cani che escono dai canili sono microchippati e quasi sempre le femmine sono sterilizzate. L’istituzione dell’anagrafe canina ha finalmente reso tracciabili la maggior parte dei cani e quindi, dopo più di 30 anni, si potrebbe quasi affermare che il fenomeno del randagismo incontrollato è finalmente un ricordo, almeno nel nord Italia.

Questo ha come felice conseguenza una carenza di cucciolate e canili sovraffollati. Complice anche un graduale cambiamento culturale, finalmente anche i privati escono dalla vecchia credenza del “far fare almeno una cucciolata” e poi sbolognarla al canile perché non sanno che farsene dei cuccioli.

Ecco quindi spiegato perché è e sarà sempre più difficile trovare nei canili cuccioli o cuccioloni, semplicemente perché non ne vengono più prodotti! Non è un caso, infatti, che ormai i cuccioli siano sempre provenienti dal sud Italia o da paesi, come per esempio l’Albania, dove il randagismo è ancora un fenomeno purtroppo mal gestito.

E allora i cani che sono in canile? Questo è davvero il tasto dolente di questo quadro tutto sommato positivo. Purtroppo in canile, adottati tutti i cani di indole buona e tranquilla, vecchietti, tripodi o variamente modificati, rimangono fondamentalmente i problematici. Questo gruppo si divide ancora in due grandi categorie: i caratteriali e/o morsicatori e i ferali.

I primi spesso sono cani di taglia medio grossa, maschi, a volte molossoidi ma non sempre, giovani e adulti. Nella quasi totalità dei casi le cose sono andate così: adottati da cuccioli senza aver impostato regole chiare, fatti tutti gli errori possibili nella gestione delle risorse, totale incomprensione del linguaggio canino. Mettiamo anche un pizzico di difetto proprio del soggetto come eccessiva predazione, eccessiva possessività, eccessiva insicurezza e la frittata è fatta. Aggressioni a persone o altri animali, difficoltà nella gestione quotidiana degli spazi e del cibo e quindi, passati alcuni mesi, ecco che un bel giorno Tyson o Batista o Ares finiscono in canile (nomi citati non a caso). Queste situazioni si chiamano rinuncia di proprietà. In soldoni vengono mollati, loro e i loro problemi, che, ça va sans dire, non faranno altro che peggiorare. Si poteva fare qualcosa? Certo, consultare un esperto, meglio se prima di fare questo pasticcio, senza avere troppa fiducia nelle proprie capacità di giudizio. Non è un delitto.

L’altra categoria, quasi sempre incompresa e dimenticata, è quella dei cani ferali, cioè i cani nati e cresciuti lontano dall’uomo, che hanno perso le fondamentali finestre di apprendimento da cuccioli. Una volta entrati in canile, rimangono intimoriti e diffidenti, spesso non è possibile nemmeno toccarli, neanche dai volontari o dagli operatori che vedono sempre. Questi cani usualmente hanno ottime competenze sociali con i loro simili, proprio perché la loro madre ha avuto la possibilità di educarli correttamente. Il fatto di non avere avuto contatti con l’uomo nei primi mesi di vita, fa sì che con le persone questi cani siano sempre in agitazione o panico e difficilmente la situazione potrà migliorare in un canile. Una possibile adozione necessiterebbe di uno spazio ben recintato, un altro cane buono e socievole, un grande cuore e una gran voglia di impegnarsi guidati da qualcuno. Difficile ma non impossibile.

In entrambi i casi, purtroppo, le competenze messe in campo da volontari e operatori, seppure indubbiamente dettate dall’amore e dall’esperienza sul campo, non sono sufficienti a far uscire questi cani dal box, che lentamente, diventa la loro tomba a cielo aperto.

Con il passare dei mesi e poi degli anni, questi animali si chiuderanno sempre di più, i loro difetti emergeranno fino a nascondere le capacità e le caratteristiche buone che potrebbero avere. Soprattutto nel primo caso, fondamentale sarebbe un lavoro serio con educatori e comportamentalisti capaci che potrebbero fare la differenza e “redimere” un’anima che non ha alcuna colpa.

Ecco perché nei canili di zona i sigg.ri Rossi non hanno trovato il cane che cercavano.

Al massimo potevano trovare delle sfide, gratificanti, belle, ma molto impegnative e faticose e magari non era proprio quello che stavano cercando. Qualsiasi scelta andrebbe fatta con grande ponderazione.

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